Il Coronavirus ha stravolto la vita di tutti, quindi anche il modo di
lavorare dello psicoterapeuta.
Bisogna essere realisti, dunque bisogna adattarsi. Soltanto un mese e
mezzo fa ritenevo sarebbe stato possibile continuare a lavorare
tranquillamente nel mio studio, e lo stesso hanno pensato i miei pazienti.
Ma questo fa parte di meccanismi mentali che in psicoanalisi si chiamano
di “negazione”, cioè di strumenti di difesa molto sofisticati che
allontanano da noi il problema, quasi magicamente, considerandolo una
minaccia troppo grande.
A fronte di questa situazione d’emergenza, ho proposto ai miei pazienti di
dare continuità alle terapie in modalità on-line, per cercare di mantenere
vivo il più possibile il nostro “filo rosso”.
Alcuni pazienti, abituati a sedersi sulla loro poltrona gialla, hanno
guardato con scetticismo alle terapie via Skype, ma poi hanno accolto la
mia proposta; altri non hanno potuto per sopraggiunte difficoltà
economiche; altri ancora (pochissimi) non hanno voluto, per concedersi una
sorta di ritiro sociale funzionale al loro bisogno di auto-protezione.
La maggior parte di loro, comunque, ha proseguito le terapie in modalità
on-line (che comunque pratico già dal 2013).
Cosa ha registrato in questi due mesi?
Principalmente un grande senso di fatica dovuto alla ripetitività di certi
argomenti. Molti hanno bisogno di essere rassicurati rispetto al fatto che
tutto tornerà come prima e che non si perderanno i progressi fatti.
Poi ho avvertito un certo senso di impotenza dovuto all’incertezza della
situazione: i pazienti vengono perché hanno un grande bisogno di
certezze. Alcuni, forse per la prima volta, si confrontano con l’impotenza
del loro terapeuta che non sa, o che ne sa esattamente quanto loro.
Per certi versi la relazione diventa quasi simmetrica e paritaria, non più
di tipo up/down. Ritengo sia anche un po’ caduto quel velo di funzione
quasi sacerdotale del terapeuta.
E come può avvantaggiarsi il paziente di tutto questo?
Il paziente fa esperienza della propria finitezza, vedendola anche nel
terapeuta-guida. Questo aiuta a sentirsi meno soli, perché forse ci si
sente più capiti. Si tratta infatti di un problema reale che c’è fuori,
che riguarda tutti, non dovuto a proiezioni o a fantasie. Aiuta molto
sentirsi parte del tutto, sviluppare una sorta di sentimento comunitario.
Come ci ricorda Jack Folla, “un uomo solo che guarda un muro è solo un
uomo che guarda un muro. Ma due uomini che guardano un muro sono il
principio di un’evasione”.
Cosa ci aspetta adesso?
È impossibile fare previsioni. Gli psicoanalisti non sono (o non
dovrebbero essere) dei maghi.
Finora, bene o male, ce la siamo cavata. Anzi, abbiamo scoperto di essere
abbastanza bravi.
Molti hanno riscoperto il rapporto coi loro figli adolescenti.
Abbiamo anche visto le dirette Instagram dei nostri idoli, abbiamo fatto
grandi abbuffate di Netflix e alcuni hanno imparato a fare la pizza.
Però credo il difficile arrivi proprio ora. C’è un secondo tempo da
giocare all’insegna della più assoluta incertezza.
Saremo chiamati ad attivare nuovi schemi mentali e a ripensare il nostro
corpo in rapporto allo spazio (limitato) e al tempo (dilatato).
Non abbiamo mai avuto così tanto tempo a disposizione e questo forse ci
spaventa un po’. La libertà, come diceva Kierkegaard, dà vertigine.
Ce la caveremo?
Ci sono migliaia di italiani che si curano per attacchi di panico o
dismorfofobie. Non so, dopo il Covid, quali saranno le nuove patologie
emergenti. Sono curioso di capire cosa accadrà ai nostri corpi che si sono
eclissati in questo periodo.
Dico che ce la faremo, certo. Ma solo se avremo cura di noi, quindi se nel
frattempo resteremo sufficientemente “sani di mente” tanto da non
compromettere troppo la nostra capacità di lavorare e soprattutto di
amare.
Cosa ci sta insegnano il Coronavirus?
A stare in contatto con i nostri limiti. Ci stiamo allenando a
riconoscerli. La sfida più grande è quella ad essere noi stessi, cioè a
vivere quanto più fedelmente alla nostra più autentica natura,
accantonando il superfluo: crescere, infatti, significa togliere quello
che non serve.
Quale sarà la sfida per la psicoterapia?
Io credo che lo spazio psicoterapeutico possa continuare a rappresentare un momento molto prezioso per poter far nascere insieme nuovi pensieri costruttivi, per vedersi in azione e ripensarsi, mantenendo sempre viva la fiammella della speranza.
I pazienti vanno ancora aiutati, ora più che mai, a non perdere la loro capacità di sognare, cioè la capacità di sognare novi mondi possibili, nuove alternative concrete e pratiche.
Dobbiamo prepararci ad una rivoluzione silenziosa: si tratta di uno spostamento d’approdo, dobbiamo spostare lo sguardo e prepararci a nuovi modi di stare in campo.
Ce la farà chi riuscirà a distrarsi dall’ossessione del contagio e chi riuscirà a fare il meglio possibile con ciò che ha adesso.
Perché ci piace così tanto la vita trascorsa on line?
L’uso dei dispositivi tecnologici ha cambiato la vita di tutti, non soltanto degli adolescenti[...]
LEGGI DI PIÙPaura di morire
o morire di paura?
Negli ultimi anni ho aiutato molte persone a guarire dagli attacchi di panico [...]
LEGGI DI PIÙIl diritto di dire no e il dovere di accettare un no
In questi anni abbiamo assistito ad un aumento esponenziale della violenza di genere[...]
LEGGI DI PIÙRicevi notizie e comunicazioni
Studi di Psicologia Dottor Andrea Mosca
In studio dalle 9 alle 20 •dal lunedì al sabato•
STUDIO 1
Via Verrotti, 73 65015 Montesilvano (PE)
STUDIO 2
Corso Umberto I, 134 65015 Montesilvano (PE)
Via Verrotti, 73 65015 Montesilvano | Pescara |
Cellulare +39 348 085 6529 | info@andreamoscapsicologo.com | P.IVA 02050190681